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«Il fenomeno della diffusione di immagini o video sessualmente espliciti comunemente conosciuto come revenge porn è accompagnato da un alone sinistro perché lascia dietro di sé una scia di morte: fisica (a volte) e psichica (più spesso). Un fenomeno complesso la cui vittima principale è senza dubbio la donna, anche se non possono essere sottaciute - come il dato empirico comprova - le altre categorie di persone coinvolte; per tali ragioni non appare pienamente condivisibile la ricostruzione dei fatti di diffusione di immagini o video privati come una subspecies della 'violenza di genere' (capitolo primo). Dare in pasto all'opinione pubblica gli aspetti più reconditi di un rapporto intimo, oltre a denotare un animus particolarmente sordido da parte dell'agente, ha in sé la capacità di annientare la persona offesa. Può sembrare paradossale, ma perfino una rapina a mano armata presenta contorni di minore riprovevolezza rispetto alla diffusione di contenuti destinati a rimanere privati, almeno per un duplice ordine di ragioni: per le conseguenze meno invasive sulla vittima; e, d'altro canto, per il fatto che un rapinatore 'rischia' pur sempre 'qualcosa', fosse anche la reazione impulsiva della persona spaventata, a differenza di colui che vilmente agisce celandosi dietro lo schermo di un personal computer. Si tratta di fatti - in forte espansione anche al di fuori dei confini nazionali (capitolo secondo) - connotati da una particolare carica di offensività, che richiedevano una specifica risposta da parte del legislatore...» (dalla Sinossi)